Palazzo della Provincia di Terni - Tempera ad uovo
Anni 1936-38
Il fregio a tempera che si snodava in alto sulle pareti della Sala Consiliare, nel Palazzo della Provincia di Terni, da poco costruito su disegno dell’arch. Bazzani, fu elaborato negli anni 1937/39, periodo denso di incarichi per l’apprezzamento riscosso con il lavoro di Palermo.
L’opera, distrutta con l’edificio dai bombardamenti, illustrava le attività e la spiritualità del mondo umbro; in essa l’artista realizzò un’accurata e modulata stesura pittorica evidente nelle foto dell’epoca e, come affermava lui stesso, registrò intenzionalmente una più vibrante colorazione. Possiamo intuirla osservando i bozzetti che annotano, tra il bruno e grigio, rapide macchie di colore facendo emergere improvvisi contrastanti bagliori: i rossi, l’ arancio e i gialli movimentano il succedersi sommario e cadenzato delle scene e scaldano la rigidità dei corpi squadrati e tesi.
Anche i cartoni preannunciano maggiore libertà e dinamismo: l’insieme conciso delle masse è tenebroso e agitato nell’episodio di guerra, arioso in quello agreste, squadrato nell’ordine architettonico della scena delle acciaierie dove i movimenti dei corpi richiamano i bassorilievi egizi. Stilisticamente il fregio si flette conformemente alla sensibilità dell’artista di fronte ai temi, alternando un andamento convulso e serrato ad una modulazione lineare e composta, ma sempre con un eloquio asciutto e severo, fissato nell’essenziale e ieratica plastica dei gesti, e nella razionalità dell’ impianto.
Ai cartoni dà carattere il disegno condotto con sicurezza, mentre il chiaroscuro li fa apparire plastici come uno sbalzo modulato variamente; ne sono esempio le vesti quando sono mosse da trasparenza, e l’espressione realistica dei volti. Con purezza di linee il linguaggio, moderno e al tempo stesso classico, definisce, sottolinea ed affina.
Tutto si esprime con una sintesi geometrica che interpreta le soluzioni artistiche del tempo, mandando echi della fissitĂ metafisica e del cubismo.
La vita, intesa come conquista di civiltà spirituale e tecnologica, è tema ricorrente nell’opera di Arduino Angelucci che sente dignitosa e commovente la fatica dell’uomo. Il suo è un umanesimo moderno, umile, popolato di contadini che svolgono con gravità e compostezza il loro lavoro e di operai arroventati dal calore degli altiforni.
Amara è la constatazione che nelle vicende storiche spesso un’opera di pace, il lavoro nelle acciaierie, si volge alla produzione per la guerra che coinvolge drammaticamente l’uomo : nella scena i corpi aggruppati dinamicamente si esprimono in modo tagliente, sui visi si specchia il terrore e semplici soldati, raffigurati con espressionismo nell’imperversare della battaglia, suggeriscono la condanna di ogni violenza e il presagio della tragedia che avrebbe investito l’Italia.
L’aspirazione alla serenità conduce però positivamente il discorso dell’autore, convinto di una valida via di riscatto: il realismo passionale e crudo della scena militare si stempera infatti nell’atmosfera rituale e pacata delle immagini familiari e georgiche e infine nella lode tributata dalle Arti al Creatore con intimo sentimento francescano, particolarmente caro all’artista.
Su un trono di roccia e vegetazione, la maternità , come un’icona rinascimentale verso il cui equilibrio tutto converge, conclude idealmente lo snodarsi del fregio.